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CULTURA DEL MOVIMENTO

Aggiornamento: 17 mag 2023

Trasformazioni radicali nel mondo del fitness.



Come ogni ambiente, anche quello dello sport, del benessere e del fitness subisce le sue trasformazioni nel corso della storia. Ogni mutazione del modo di pensare e fare allenamento e movimento è accompagnata dall’emergere di domande diverse o dall’intenzione di fare risaltare più alcuni quesiti rispetto ad altri.


Quali sono le domande radicali che abitano oggi l’avanguardia del mondo del movimento umano?

Una domanda indispensabile per chi vuole avere successo in questo settore, ma soprattutto per chi si nutre di curiosità per la mente umana e il suo modo di dialogare con uno stupefacente corpo.

Il cambiamento a cui assistiamo oggi coinvolge molti livelli di lettura, da quello più filosofico a quello più economico, di conseguenza diverse tipologie di interlocutori leggono la situazione da punti di vista diversi, più o meno globali.


Per rispondere alla domanda sopra andremo a toccare una serie di punti che faranno apparire un quadro complessivo di quella che definiamo oggi come cultura del movimento, nella sua accezione caratteristica derivata dal termine “movement culture”, espressione diffusa e partorita a livello mediatico mondiale dal geniale ed eccentrico Ido Portal.


Questa espressione identifica l’evento che vede un substrato di persone, appassionati del mondo del movimento, dello sport, dell’allenamento, della danza, delle arti marziali, dell’arte espressiva e delle neuroscienze cambiare modo di vedere il corpo e di farne esperienza diretta e quotidiana.


Non si tratta di un processo superficiale e soprattutto oggi non si tratta ancora di un evento di massa, la maggior parte delle persone comuni vede ancora il momento dell’allenamento o dello sport come qualcosa di isolato e principalmente orientato all’ottenimento di un obiettivo estetico ed apparente come la pancia piatta o il gluteo sodo.


Caos e semplificazione.

Smettere di vedere attività diverse come completamente isolate.


Smettere di credere che i ruoli che impersoniamo come atleti, per esempio, il calciatore, la ballerina, il lottatore, siano più importanti del fatto che, in qualità di umani in movimento, siamo progettati da madre natura per muoverci ed esplorare questo mistero immenso e straordinario che è la plasticità mentale e fisica.


Il “mover”, ovvero colui che si muove, che fa esperienza del movimento, si serve di contenitori diversi, a cui diamo nomi e simboli diversi, come gli sport o le discipline, per fare procedere questo processo esplorativo senza fine, ponendo al centro del gioco uno degli aspetti più essenziali della natura della realtà, l’impermanenza. Il contenuto dei contenitori è sempre l’esperienza corporea sensibile e le innumerevoli storie che ci racconta nell’atto di essere vissuta.


Tutto questo porta facilmente ad un grande caos, se non sono più un culturista allora che modello dovrò seguire? Qui si apre un divertente scenario in cui il praticante deve inventare nuove mappe attraverso cui codificare la libertà e al tempo stesso scardinare la rigidità dei modelli precedenti. Non vi è nessun rifiuto delle diverse attività specifiche, bensì il rifiuto di attaccarsi ad esse e così vincolarsi, riducendo il cono d’ombra sotto cui ricadono le possibili esperienze che attraverseremo con il corpo.


Praticare tutto e male?!

Certamente non si tratta di smettere di essere dei buoni atleti, o di cessare di coltivare con dedizione le tecniche di una precisa disciplina. Tuttavia fare esperienza di tante e diverse situazioni di movimento, stimolando così abilità nuove, richiede tempo, pazienza e l’intenzione costante di ricominciare come principianti riaccendendo nuovi meccanismi di apprendimento.

La cultura del movimento ha fatto nascere la voglia di spaziare di più, essere più creativi, assistiamo sempre più di frequente a insegnanti di Yoga che praticano arrampicata e a lottatori che fanno classi di danza contemporanea, oppure culturisti che lavorano sulla loro flessibilità.


Mantenere alta la qualità e non il volume, sia in termini di ore di pratica, sia in termini di quantità di attività praticate è un punto che farà la differenza tra un mover intelligente, sensibile e consapevole di come abbracciare questa rivoluzione rispetto ad un atleta sovraccaricato e in preda alla voglia di essere il numero uno in mille discipline.


Il fuoco è proprio fare ripartire il processo di apprendimento da un punto di vista diverso, rinnovare l’esperienza di movimento del corpo con scenari nuovi. Tutto questo non ha nulla a che fare con il tentativo di performare ai massimi livelli in decine di discipline contemporaneamente.


Paradossalmente la capacità di fare esperienza del movimento attraverso contenitori sempre diversi richiede in primis la capacità di accettare di non eccellere in niente, di non sentirsi i primi della classe in nessuna specialità, di non vincere alcuna competizione.


Ido Portal è un genio?!

Non sappiamo esattamente perchè sia proprio quest’uomo, Ido Portal, ad avere su di se il marchio di colui che ha generato ed esportato il cosiddetto e da lui nominato “paradigm shift” ovvero il cambio di paradigma. Bicipiti grossi, addome piatto e competizione lasciano il posto a schiene flessibili ma solide, capacità meditative e voglia di annientare il proprio Ego.


Sebbene sia evidente che Ido non è altro che uno straordinario catalizzatore di idee e rivoluzioni di pensiero di cui si scorge la forma leggendo filosofi ancora prima di Platone, rimane oggettivo che egli sia riuscito a muoversi nel mondo e fare girare questa visione fresca e potente di profondo cambiamento di prospettiva.


Da atleta di Capoeira a praticante di decine di discipline diverse, mantiene il suo stile minimale ma al tempo stesso sofisticato e intellettuale e si diverte costantemente nel proporre alla sua community approcci che sconvolgono il pensiero comune circa corpo, movimento e allenamento.


Chi volesse ascoltare una delle sue interviste più complete può cliccare direttamente qui.



Ballerino o lottatore?

Oggi sappiamo che non è necessario scegliere. La fluidità e sensibilità richieste nella danza possono aiutarti a muoverti più liberamente sul ring, l’esplosività e la reattività della thai boxe possono renderti un danzatore più veloce e potente.


Se non sei un professionista che deve andare alle olimpiadi, puoi tentare la via dell’atleta generalista, ovvero farti coinvolgere dalla movement culture. Questo termine generalismo ci aiuta a rendere ancora meglio l’aspetto fondamentale di questa innovazione, essere in grado di fare esperienze molto diverse, cogliendone i frutti, ma sempre misurando con cura quanto lasciarci travolgere dalle specificità e dalla specializzazione, questo è l’approccio generalista.


Per mantenerci nel nostro esempio, essere un ballerino, ma anche un lottatore, richiede uno sforzo fisico e intellettuale maggiore rispetto alla scelta univoca, per questo la sindrome del “tuttologo”, che troppo vuole ma nulla possiede, è dietro l’angolo, pronta a minare la bellezza e il senso della filosofia della pratica fisica generalista.


Persino atleti come Conor McGregor, professionista di arti marziali miste, raccontano di avere ricevuto benefici nell’allenarsi completamente fuori dalla loro zona di comfort di lottatori, giocando con coordinazioni e cooperazioni apparentemente astruse. Detto questo è evidente che per atleti di alto livello competitivo, la routine dovrà comunque rimanere molto sbilanciata verso la disciplina che si è scelto di perseguire.


Perchè abbracciare questa rivoluzione.

Abbiamo capito che questa trasformazione in atto sembra inarrestabile e allo stesso tempo nessuno sa se mai sarà in grado di uscire dalla nicchia in cui tuttora è limitata. Le ragioni sul perchè si debba accettare questo cambio di paradigma e quindi aprire le porte ad una esperienza sportiva e di allenamento molto più inclusiva e totalizzante sono tante, vediamo due delle più forti.

Senso di libertà.

Uno dei più interessanti risvolti della pratica generalista è il senso di libertà che ne deriva. In ragione del fatto che le forme del movimento, e quindi le attività e le abilità, sono semplici strumenti di accesso all’esperienza stessa del cambiamento, della plasticità attraverso il corpo, crolla la necessità di inquadrarsi in modelli precisi di lavoro e quindi di identità.

Rendersi conto che il corpo nasce per muoversi e quindi per saltare, spingere, tirare, accosciare, avvitarsi, schivare, flettersi, irrigidirsi, abbracciare, sdraiarsi, esplodere, rallentare e migliaia di altre azioni che seguono le regole della natura del nostro corpo bipede.

La biomeccanica non segue affatto le regole delle discipline che ci siamo inventati, quest’ultime sono infatti utilissime forme di catalogazione e semplificazione di una complessità organica e dinamica.


Spazio alla creatività e neuroplasticità.

Un secondo tema che viene messo in luce dalla movement culture è l’aspetto esplorativo del movimento, la curiosità ritorna ad essere al centro dell’attenzione, come quando eravamo bimbi. La voglia di sperimentare uno scenario nuovo, fatto di micro e macro movimenti, la volontà di inter-agire con intelligenze esterne e interne si fa spazio nuovamente tra le centinaia di protocolli che popolano il mondo della cultura corporea.

Oggi sappiamo, grazie a studi scientifici in ambito di funzionamento cerebrale, che è proprio quella curiosità uno dei motori principali del mantenimento di un cervello sano e giovane, nonostante la inevitabile e sacra progressiva degenerazione cellulare che accompagna alla morte il nostro amato corpo fisico.



Natked e la cultura del movimento.

La palestra non convenzionale Natked nasce proprio come un laboratorio in cui coltivare la passione per il movimento. I coach che vengono formati attraverso una accademia specifica imparano ad entrare nella visione della cultura del movimento.


Questo avviene senza mai dimenticare l’intenzione terapeutica che spesso risulta fondamentale per alcune tipologie di soggetti, in particolare quelli che hanno perso di vista la cura del proprio corpo, oppure non hanno mai nutrito un autentico dialogo con esso.


La parola Natked sta per “natural & naked” due parole che richiamano un senso di semplicità, di riallineamento alla natura essenziale delle cose e ad un processo di alleggerimento più che di appesantimento tecnico, intellettuale e fisico.


Tornare ad essere nudi, sbarazzarci di schemi mentali e discipline rigide richiede però una attitudine molto forte al cambiamento e alla relazione costruttiva con la sensazione di caos che ci pervade quando vogliamo rivoluzionare modelli ormai consolidati.


Al tempo stesso, la naturalezza con cui un atleta generalista deve poter navigare tra le diverse discipline è fondamentale, la sensibilità diventa la nostra bussola ed una relazione profonda con il nostro corpo ci eviterà inutili e dispendiose paranoie mentali, i risultati fioriranno come spontanee conseguenze di uno stile di vita dedito alla qualità e alla presenza.



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